Revolutionary road

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REGIA DI SAM MENDES

SCENEGGIATURA: Justin Haythe
ATTORI: Leonardo Di CaprioKate WinsletKathy BatesMichael ShannonRyan SimpkinsTy SimpkinsDavid HarbourZoe Kazan

FOTOGRAFIA: Roger Deakins
MONTAGGIO: Tariq Anwar
PRODUZIONE: BBC Films, Evamere Entertainment, Neal Street Productions
DISTRIBUZIONE: Universal Pictures Italia
PAESE: Gran Bretagna, USA 2008
GENERE: Drammatico
DURATA: 119 Min
FORMATO: Colore 35 mm – 2.35 : 1

Soggetto:
Basato sul romanzo omonimo di Richard Yates (1926-1992)

TRAMA

Cronaca di un matrimonio naufragato sulla Revolutionary road e nell’America conservatrice degli Anni Cinquanta

Revolutionary Hill, 1955. Frank e April Wheeler sono una giovane coppia middle class che coltiva noia e anticonformismo in un sobborgo benestante (e benpensante) di New York. April partecipa con modesti risultati alle recite della filodrammatica locale e Frank indugia in un lavoro ordinario in attesa di “trovare la sua strada” e il suo essere straordinario. Belli e colti, intelligenti e sofisticati, i Wheeler sono ammirati dai più ovvi vicini di casa e da un’inopportuna agente immobiliare. Nel privato, invece, la coppia prova a resistere all’amore finito e ai silenzi infiniti, alle notti bianche e ai bicchieri pieni. Frank inizia una squallida liaison impiegatizia, April si inventa una vita a Parigi, dove vorrebbe trasferire la sua famiglia e la sua inquietudine. L’idea romantica della fuga riaccende la passione nel talamo e la fiducia nel futuro ma la “rivoluzione” cova sulla Revolutionary road.
Ambientato a metà degli anni Cinquanta, nella provincia del Connecticut, immerso in colori, musiche, oggetti, toni e bigottismi dell’America più conservatrice e moralista, Revolutionary road è un (melo)dramma trasposto con ossessiva fedeltà dal romanzo omonimo di Richard Yates. Sam Mendes trasforma l’infiammabilità inesplosa e trattenuta di una giovane coppia di coniugi in un film che scoppia nel momento in cui sfiora la realtà. La Revolutionary road è percorsa da un’energia (in)controllata, che pulsa sotto la compostezza della messa in scena, suggerendo ciò che si deve assolutamente tacere. Dietro alla casetta a due piani, il giardino, l’automobile, due figli e un’agente immobiliare che racconta ai suoi clienti questa perfezione, c’è l’assordante tristezza che deriva dalla solitudine della protagonista, costretta a misurarsi con la mostruosa normalità che l’assedia dentro e fuori le mura domestiche. Soltanto il figlio folle e alienato della signora Givings intuisce la consunzione dell’amore coniugale e il deperimento della cartolina dentro la quale vivono i Wheeler, costretti a recitare in continuazione una sicurezza che non hanno. Saranno le sue parole prive di sfumature a incrinare la superficie levigata della loro vita, lasciando affondare sogni e ambizioni, sostegni e corazze, silenzi e ipocrisie.
Se American Beauty era pieno di stile e poco di vita, ridotta in realtà a una sua caricatura glamour, Revolutionary road si confronta con la crudezza della vita, lontano dal paradiso e in bilico sulla vertigine. Competente nel costruire estetiche che somigliano a racconti e a produrre emozioni legate alla cura della forma, questa volta Mendes si concentra anche sui contenuti. Scegliendo Richard Yates come territorio della sua analisi dell’America degli anni Cinquanta, Revolutionary roadnon è un salto indietro nel tempo compiuto con la consapevolezza degli anni trascorsi e delle rivoluzioni vissute, quanto una messa in discussione del presente attraverso uno sguardo già posato. I Wheeler di ieri sono uguali a quelli di oggi, soltanto meno consapevoli della propria mediocrità. Abitano un sogno (e una casa bianca) compromesso dal fallimento di relazione con l’altro ma soprattutto dall’impossibilità stessa di uscire fuori da sé. Frank e April, morbosamente addolorati e incapaci di amarsi un’altra volta, rappresentano con estrema chiarezza la crisi dell’individuo nella società e permettono allo spettatore di riflettere sulla farraginosa complicatezza della vita affettiva. Leonardo Di Caprio e Kate Winslet scivolano sulla colta superficie delle immagini, colorando i segni invisibili eppure percepibili di un fallimento che annulla la volontà e nega il desiderio. Dopo l’amore smisurato sulla prua del Titanic Rose/April e Frank/Jack naufragano sulla Revolutionary road, dove sperimentano la vertigine del guardarsi negli occhi, prima di sprofondare, di nuovo soli, nel fondo dell’abisso.

 

Revolutionary Road. La riscoperta del capolavoro di Richard Yates

Dateci un bel po’ di belle stradine serpeggianti e di casette dipinte di bianco, rosa e celeste; fateci essere tutti buoni consumatori, fateci avere un bel senso di Appartenenza e allevare i figli in un bagno di sentimentalismo – papà è un grand’uomo perché guadagna quanto basta per campare, mamma è una gran donna perché è rimasta accanto a papà per tutti questi anni – e se mai la buona vecchia realtà dovesse venire a galla e farci bu, ci daremo un gran da fare per fingere che non sia accaduto affatto.

Perché è interessante riscoprire un romanzo degli anni sessanta ormai obliato dalla critica? Perché era giusto ripubblicare Revolutionary Road? Forse per rendere finalmente giustizia a quello che viene considerato tra i migliori romanzi americani del ventesimo secolo. O magari perché il suo aspetto più attraente è dettato dalla descrizione realistica e profonda del contesto in cui si svolgono i fatti narrati, un insieme di situazioni che non lasciano indifferenti, nemmeno a cinquant’anni di distanza, nemmeno dalla parte opposta dell’oceano. Revolutionary Road non può che essere sentito come un ruvido ritratto di uno schema di pensieri e valori facilmente riconoscibile e ancora attuale.

April e Frank Wheeler formano una coppia invidiabile. Genitori di due bambini, con una bella casetta accogliente che si affaccia su un tranquillo quartiere del Connecticut, un’auto, un giardino, vicini di casa presenti e premurosi. Tuttavia, questa non è per tutti una situazione ideale. Forse non lo è per nessuno dei personaggi coinvolti, ma soprattutto, non lo è per April.  Il giusto rimedio alla piattezza di una vita troppo vuota e regolare, è l’imminente trasferimento in Europa, a Parigi. Per un po’ i Wheeler sembrano convinti di voler dare una scossa alla propria esistenza, ma qualcosa va storto, qualcosa li spinge a tornare sui loro passi e convince Frank che non ci possano essere vie di fuga, che ci sia un modo giusto e prestabilito di affrontare la vita. Si lascia trascinare dalla corrente contro la quale ha sempre lottato, a parole, e prende con se anche sua moglie, lottando abilmente contro i suoi tentativi di resistenza…

 

Richard Yates nasce nello stato di New York nel 1926. Revolutionary Road è il suo romanzo d’esordio, scritto pochi anni dopo il suo ritorno negli Stati Uniti dopo aver combattuto in Europa durante la seconda guerra mondiale. Nella stesura del romanzo utilizza molti aspetti autobiografici che aumentano la credibilità e l’autenticità dei fatti. Lui stesso, dopo la pubblicazione di  The Easter Parade, dichiara di essere riuscito a descrivere così bene le sorelle Grimes perché lui stesso era una delle sorelle. La forza, la brutalità con cui trasmette al lettore i disagi della giovane signora Wheeler non lasciano dubbi sul fatto che quest’ultima sia parte di lui. Tutti i personaggi sono probabilmente l’impersonificazione di diversi aspetti del suo carattere, di episodi della sua esistenza, dei disagi che gli procura la società in cui vive.

La sua naturalezza nel delineare il carattere di personaggi di sesso opposto, si può spiegare anche prendendo in considerazione le letture che l’hanno ispirato. I suoimodelli di riferimento riemergono con chiarezza a chiunque abbia affrontato prima testi come Il grande Gatsby o Madame Bovary, non a caso considerati da Yates i libri chiave della tecnica narrativa.
Lo stile, forse superato, ma non per questo privo di valore letterario, è ricco di ogni sorta di artifizio linguistico, metafore, poetici accostamenti di parole. Uno stile alto che riesce quasi sempre a mantenere un tono di verità., nonostante ci siano momenti in cui ricade nel sentimentalismo più sfrenato e allontana il lettore da ciò che è lo spirito di partenza, dal realismo con cui ogni personaggio vive la sua crisi interiore e fallisce nella comunicazione con il prossimo.

Il netto contrasto tra parola e pensiero è il perno su cui ruotano i fatti drammatici. Ogni capitolo descrive l’intreccio a partire dalla prospettiva di un personaggio diverso. Vi è una penetrazione totale all’interno di pensieri e sentimenti, senza pudore e mantenendo le giuste distanze dalla compassione. È forte il livello di intimità che si arriva a raggiungere con i personaggi, necessario per comprendere la gravità dell’incomprensione generata da una società piatta, votata al pragmatismo, alla difesa dei modelli e dei cosiddetti valori tradizionali. La spinta decisiva è data dall’angoscia del voler sempre e comunque dimostrare e giustificare. L’altro non è che uno specchio su cui osservarsi e captare i propri limiti. La mimica che avviene tra i personaggi ne è testimone: i sorrisini a metà, la fissità di certi sguardi, le finte risatine, l’assurdo e patetico sgorgare di lacrime.

L’originalità di Yates sta nell’uso di una serie di simboli guida, mirati ad amplificare l’efficacia del romanzo. Il contesto è descritto con minuzia e attenzione particolare ai minimi dettagli capaci di suscitare una certa impressione nel lettore ed accentuare gli aspetti psicologici dell’intreccio: le strade, i locali, le case, la natura e in particolare il cielo, hanno la funzione spesso di ricreare un’atmosfera di oppressione. Ne è esempio lampante la descrizione dell’ufficio in cui lavora Frank, l’impressione che hanno avuto su di lui fin da quando era bambino quelle mura, quei soffitti, l’altezza dell’edificio in cui si trova. La casa. La casa è una prigione, è la principale trappola che racchiude i Wheelers. La casa è una sfocata macchia biancastra (p.88) o come la descrive la stessa April, una belva pronta a sbranarti (p.165). La consapevolezza accresce nel finale, dopo la tragedia, quando Frank si guarda intorno smarrito: Ma poi vide la casa – la vide davvero – lunga e lattiginosa al chiaro di luna, le finestre buie: l’unica casa senza luci di tutta la strada. (p.410). il buio è ciò che resta dell’egoismo con cui i due hanno finto di amarsi, della falsità con cui facevano credere che tutti i loro comportamenti e cambi di rotta miravano al bene dell’altro, mentre in realtà servivano solo a soddisfare se stessi.

Efficace è la struttura narrativa scelta da Yates. La decisione di filtrare i fatti in ogni capitolo attraverso il punto di vista di ciascun personaggio permette di penetrare nei pensieri più intimi di uomini e donne coinvolti, nel loro modo differente e spesso egoistico di pensare l’uno all’altro e vivere le loro relazioni. L’autore sceglie di ripercorrere il passato di ognuno, creando logiche connessioni tra l’educazione, i modelli e i traumi infantili e il loro modo di affrontare il presente. Lascia comprendere il perché di molti atteggiamenti bizzarri o esageratamente controllati. I protagonisti proiettano negli altri le proprie frustrazioni, i propri difetti, si ritrovano a chiacchierare di questo o di quel vicino per poi rendersi conto che loro stessi rappresentano la fotocopia di tutto quello che ripudiano e deridono.

Il fallimento della famiglia trapela nella considerazione del ruolo dei figli, vissuti come un obbligo, un elemento essenziale per sentirsi al passo con il resto della società. Nel capitolo dedicato a Shep Campbel (vicino di casa dei Wheelers), si sottolinea come i suoi bambini siano quasi estranei a lui. Immerso tra i suoi pensieri giunge in salotto e si rende conto improvvisamente della loro esistenza, come se prima non se ne ricordasse più. April vive con enorme drammaticità la quasi assenza del sentimento materno. Ad ogni gravidanza è tentata di abortire in casa e viene frenata da Frank, il quale, sebbene non desideroso di diventare padre, non riesce ad uscire dagli schemi, anzi, cita teorie Freudiane per giustificare l’atteggiamento poco materno della moglie, la quale sarebbe vittima di una sorta di “invidia del pene”.

Gli elementi ricorrenti che possono essere considerati simbolici del bisogno di evasione di ognuno sono l’alcol e i giornali. L’ alcol non manca mai di annebbiare i pensieri ed alleviare il peso delle situazioni difficili e della monotonia, il giornale è un nascondiglio sicuro dietro il quale celare i propri volti annoiati e scontenti. Per Shep è necessario impugnare una lattina di birra per sentirsi importante. I Wheelers passano le serate a versarsi liquori come fossero acqua. Mr Givings e Frank sono professionisti nello sconfiggere l’imbarazzo affondando il viso dietro le pagine del New York Times o Herald Tribune.

La biografia di Richard Yates

Yonkers, 1906 – Toscaloosa, 1992

t Revolutionary roadRichard Yates nasce da Vincent, aspirante tenore diventato rappresentante della General Electric, e da Ruth, detta Dookie, scultrice sempre sul punto di sfiorare il successo. Dopo l’abbandono del marito, pur senza un soldo Dookie cerca di far frequentare ai figli scuole e ambienti che li rendano persone raffinate.

Nel 1944, subito dopo il diploma, Richard viene arruolato e spedito in Francia. Comincia a leggere scoprendo Wolfe, Hemingway, Eliot e soprattutto Il grande Gatsby, che riterrà sempre, con Madame Bovary, il libro-chiave della tecnica narrativa.
Congedatosi nel 1946, si sposa a New York; nel 1951 grazie a una piccola pensione assegnatagli per la lieve forma di tubercolosi contratta in servizio può tornare in Europa e dedicarsi per due anni e mezzo alla scrittura a tempo pieno.
Rientrato in America nel 1954, lavora per la United Press, scrive comunicati pubblicitari per la Remington Rand e tiene il suo primo corso universitario alla New School, dove diventa amico di Kurt Vonnegut.
Nel 1961, Yates comincia a farsi valere sulla scena letteraria: il suo primo romanzo, Revolutionary Road, accolto con entusiasmo dalla critica, è finalista al National Book Award. L’anno seguente esce Undici solitudini, un volume di racconti che ottiene critiche favorevoli. Intanto Yates, che beve senza ritegno e fuma quattro pacchetti di sigarette al giorno, inizia a soffrire di crisi depressive.
Nel 1963 parte per Hollywood, dove gli propongono di sceneggiare un film (mai realizzato) dal romanzo Un letto di tenebre di William Styron. Lavora anche per il Governo, scrivendo i discorsi del ministro della giustizia Robert Kennedy. Dopo i fatti di Dallas, torna a tenere corsi universitari e, sebbene intimamente convinto che la scrittura non si possa insegnare, avrà come allievi futuri scrittori del calibro di Andre Dubus, Mary Robison, Tony Earley e John Casey.
Dopo il divorzio dalla prima moglie, Yates si risposa nel 1968, ma i problemi fisici e mentali, il suo carattere testardo e irascibile gli renderanno sempre impossibile mantenere sia una relazione stabile che l’amicizia di chi gli è accanto.
Nel 1969 appare A Special Providence. “Immagino che si trattasse della sindrome del secondo romanzo”, dirà in seguito. “Per quel libro mi ci sono voluti sette anni, e alla fine hanno dovuto strapparmelo da dentro”. I protagonisti, Robert Prentice, un ghost writer insoddisfatto, e sua madre Alice, artista più illusa che delusa, ricordano i Wheeler di Revolutionary Road, ma anche Richard e Dookie Yates. Gli elogi sono blandi, le vendite modeste.
Nella metà degli anni Settanta, l’editore Seymour Lawrence accetta di corrispondergli uno stipendio mensile, grazie al quale Yates scriverà sei libri in poco più di un decennio, nonostante l’alcolismo e la depressione peggiorino.
Alla pubblicazione nel 1975 di Disturbing the Peace, molti critici danno per conclusa la carriera letteraria di Yates, che invece l’anno dopo stupisce tutti con The Easter Parade, una delle sue prove migliori. In seguito, Yates confesserà di essere riuscito a descrivere così bene le sorelle Grimes e il loro mondo perché lui stesso è una delle sorelle (tra l’altro, il soprannome della loro madre è Pookie). Due anni dopo esce A Good School, la cui inusuale delicatezza viene tuttavia frettolosamente scambiata per inconsistenza. Il testo è ispirato, come sempre, alla vita dell’autore: per Yates come per i suoi personaggi la famiglia è il fulcro dell’esistenza. A Elizabeth Cox che, da lui aiutata nell’editing del suo primo romanzo Familiar Ground, gli dice quasi a scusarsi: “Non scrivo altro che della famiglia”, lui risponde: “Non c’è altro di cui scrivere”.
Nel 1981 la raccolta Liars in Love esce quasi insieme a Di cosa parliamo quando parliamo d’amore di Carver: le affinità di stile e di temi appaiono così evidenti, che è ormai chiaro che Yates è un maestro, alla cui scrittura “seminale” cominciano a ispirarsi gli scrittori americani moderni. Il libro vende abbastanza bene (per gli standard di Yates, che non aveva mai superato il tetto delle 12.000 copie), grazie anche al crescente successo della “short story”.
Nel 1984 viene pubblicato Young Hearts Crying, ma le vendite sono scarse. Esquire definisce Yates “uno dei grandi scrittori meno famosi d’America”.
Quando nel 1986 esce Cold Spring Harbor, Yates sta già lavorando a Uncertain Times, ispirato al periodo in cui scriveva per Robert Kennedy. Le critiche a Cold Spring Harbor sono contrastanti: la recensione apparsa sul quotidiano New York Times e quella pubblicata nel suo supplemento domenicale giungono a conclusioni opposte. Eppure le sue opere conoscono un momento di rivalutazione: nel 1989 la Vintage ripubblica Revolutionary Road, Undici solitudini e The Easter Parade. In questo periodo Yates insegna alla University of Southern California, soffre di enfisema ed è costretto ad assumere una quantità di farmaci, ma continua a fumare come prima.
Nel 1991 si stabilisce a Tuscaloosa per insegnare alla University of Alabama, ma soprattutto per dedicarsi completamente a Uncertain Times; il lavoro è però rallentato dalla malattia, che gli permette di scrivere solo una o due ore al giorno.
Nel 1992, ricoverato per un piccolo intervento chirurgico, muore per complicazioni post-operatorie, lasciando Uncertain Times incompiuto. Il manoscritto rimane inedito (tranne che per un frammento pubblicato dalla rivista newyorkese Open City), e a tutt’oggi non si sa se esista ancora.
Nel 2001, il silenzio sull’opera di Richard Yates è rotto dal New Yorker, che pubblica due suoi racconti. L’aspettativa dei lettori è stimolata, e il successo di The Complete Stories of Richard Yates, che riunisce Eleven Kinds of Loneliness e Liars in Love, è tale che altri editori si affrettano a ripubblicare i suoi romanzi fuori catalogo da tempo. Alcuni scrittori (tra cui “yatesiani di ferro” come Michael Chabon e Tobias Wolff) ne promuovono le opere con una serie di letture pubbliche in giro per gli Stati Uniti, cercando di esaudire, sia pure in maniera postuma, un desiderio espresso un giorno da Yates ad Andre Dubus: non voglio il successo, voglio lettori. Ci sembra arrivato il momento di accontentarlo.
Nel 2008 il suo capolavoro, Revolutionary Road (minimum fax 2003, con introduzione di Richard Ford), è diventato un film (diretto da Sam Mendes e interpretato da Leonardo DiCaprio e Kate Winslet) che uscirà all’inizio del 2009.
(Nota biografica a cura di Andreina Lombardi Bom)

Di ciascuna opera riportiamo la prima edizione americana, e l’eventuale prima edizione italiana.

Revolutionary Road, (I Quindci), minimum fax, Roma, 2009
Easter Parade, minimum fax, Roma, 2008
Revolutionary Road, minimum fax, Roma, 2003
Revolutionary Road, Little, Brown, Boston 1961 (I non conformisti, Garzanti, Milano 1964).
Undici solitudini, minimum fax, Roma, 2006
Eleven Kinds Of Loneliness; Short Stories, Little, Brown, Boston 1962 (Undici solitudini: racconti, Bompiani, Milano 1965).
A Special Providence, Knopf, New York 1969.
Disturbo della quiete pubblica, minimum fax, 2004.
Disturbing The Peace: A Novel, Delacorte Press/S. Lawrence, New York 1975 (Disturbo della quiete pubblica, Bompiani, Milano 1977).
The Easter Parade: A Novel, Delacorte Press, New York 1976.
A Good School : A Novel, Delacorte Press/S. Lawrence, New York 1978.
Liars In Love: Stories, Delacorte/S. Lawrence, New York 1981.
Young Hearts Crying, Delacorte Press/S. Lawrence, New York 1984.
Cold Spring Harbor, Delacorte Press/S. Lawrence, New York 1986.
The Collected Stories of Richard Yates, introduzione di Richard Russo, Holt, New York 2001.

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