Basaglia è stato tradito

CLAUDIO MAGRIS : “BASAGLIA È STATO TRADITO

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Accuse ideologiche, rivalità personali, carenze nell’applicazione

«Da dentro il giardino di San Giovanni si poteva leggere il mondo; con quella lettura qualcosa è cambiato». Così scrive Franco Rotelli, attualmente direttore generale della ASS n. 1 a Trieste e a suo tempo successore di Franco Basaglia alla direzione dell’ospedale psichiatrico triestino di San Giovanni, in cui è maturata l’esperienza che ha cambiato radicalmente l’atteggiamento dinanzi alla malattia mentale e all’istituzione manicomiale, realizzando nel 1978 la legge 180 che poneva fine a quest’ultima — la cosiddetta legge Basaglia, dal nome del suo carismatico promotore — e riconoscendo finalmente i malati psichici come persone a pieno titolo, persone in difficoltà, anche assai gravi, ma nella pienezza della dignità umana. La legge 180 non proclama che i malati mentali sono guariti o non esistono, bensì semplicemente che essi sono cittadini da tutelare al pari di tutti gli altri; anche da punire, se compiono reati, come si punisce un malato di cancro se ruba, ma da considerare sempre e comunque uomini. Si tratta di una fondamentale conquista civile, che estende il riconoscimento della dignità umana a una categoria di persone cui si tendeva a negarlo: mentre non si è mai considerato un uomo sofferente di cuore o di tubercolosi un mero caso di cardiopatia o di tbc, bensì un uomo, un malato di schizofrenia è stato spesso percepito unicamente come uno schizofrenico, quasi fosse soltanto la mostruosa e astratta incarnazione di una malattia anziché un individuo colpito da una malattia. Non a caso il linguaggio, prima spia della violenza, ha visto usare quali ingiurie tanti termini che definiscono dolorose malattie psichiche. Esposti, perlomeno in alcuni ospedali, anche a condizioni innominabili e a violenze, i malati erano spesso esclusi dalla pietà, dalla considerazione, quasi non appartenessero alla condizione umana; il manicomio, quale istituzione totale e chiusa, sembrava funzionare non tanto per curarli quanto per segregarli dalla società umana, di cui ogni uomo, sino alla morte, fa parte. Scattava in tal modo un meccanismo sociale di esclusione pure nei confronti di forme di disagio, di emarginazione, di diversità, di comportamenti bizzarri ancorché inoffensivi ma difformi dalla convenzionale normalità sociale.

Così finivano magari in manicomio asociali stravaganti anche se innocui come quello che pochi giorni fa, in una farmacia, mi ha fatto giustamente anche se inopinatamente notare che la mia borsa di finta pelle nera scalcagnata gli dava fastidio. Nell’Unione Sovietica, peraltro, vi finivano molti dissidenti, ben più sani di mente dei loro carcerieri. Non è stata certo solo la scuola basagliana, come alcuni suoi settari esponenti hanno talora presuntuosamente preteso, ad operare per il reale bene del malato di mente, ma fondamentale è stata la direzione di Franco Basaglia, dal 1971 al 1979, all’ospedale psichiatrico triestino di San Giovanni, ora diretto da un altro medico del suo gruppo, Peppe Dell’Acqua. Assai rilevante era stata la precedente attività di Basaglia a Gorizia, dal 1963 al 1968, mentre il periodo intermedio da lui passato all’ospedale di Colorno era stato meno fecondo, anche per la scarsa comprensione dell’amministrazione provinciale, allora comunista. A Trieste, Basaglia e la sua équipe hanno trovato un appassionato e totale sostegno in un’amministrazione democristiana di centrosinistra o meglio nel suo presidente, Michele Zanetti, anomalo politico di coraggiosa intraprendenza, a suo tempo creativo presidente della provincia e poi del porto; vero coprotagonista, più ancora di quanto gli venga riconosciuto, della legge 180 e delle battaglie e difficoltà che l’hanno accompagnata e in cui si è impegnato a fondo, pagando il prezzo di una successiva emarginazione dalla vita politica triestina, da lui accolta senza batter ciglio. A lui, che insieme con Francesco Parmegiani ha scritto di recente una biografia di Basaglia, chiedo cos’abbia significato, per un amministratore, l’esperienza basagliana a Trieste; quali ostacoli, quali problemi, quali errori hanno accompagnato quest’avventura.

Michele Zanetti —«È stata una costante sfida su molti fronti: da quello più propriamente politico (non è stato facile ottenere un consenso sufficiente) a quello di un’opinione pubblica e di una stampa alle quali si chiedeva un cambio di cultura; da quello più strettamente amministrativo (dove si è imposto un radicale mutamento di prassi amministrative —non solo sanitarie— e di regolamenti) a quello giudiziario (in quanto i malati, a mano a mano che venivano riabilitati, venivano consensualmente sottratti al controllo tutorio del competente Ufficio della Procura). Sfida pure sul fronte culturale: è grazie al rapporto con l’Organizzazione mondiale della sanità e con una cultura internazionale non soltanto sanitaria che si è potuto reggere ai molti attacchi alla riforma. Non dubito ci siano stati errori e non ho condiviso tutte le scelte di Basaglia, ma mai è venuto a mancare l’impegno totale per realizzare gli obiettivi concordati, in una leale amicizia».

Claudio Magris — Oggi esistono in Parlamento due progetti di revisione della legge 180 e di recente si sono levate voci aspramente critiche nei suoi confronti, che accusano i basagliani di aver trascurato l’aspetto scientifico e di aver ridotto ideologicamente la malattiamentale a cause sociali. Ma Basaglia non ha mai negato—come erroneamente gli si rinfaccia e come hanno occasionalmente fatto alcuni suoi vacui e improvvisati seguaci—la realtà clinica della malattiamentale; ha respinto l’«antipsichiatria» (si veda per esempio pagina 358 del II volume dei suoi scritti editi da Einaudi) e non ha mai ridotto la malattia mentale a mero effetto dell’emarginazione sociale. Ha solo sottolineato che, come per un cardiopatico abitare al decimo piano di una casa senz’ascensore è un fattore che incide sulla sua malattia, la situazione esistenziale, sociale, affettiva di un malato mentale incide sulla sua condizione. Il che non significa affatto sottovalutare la scienza medica. Tra le dure critiche alla legge 180 c’è il libro di Gilberto Corbellini e Giovanni Jervis, La razionalità negata (Bollati Boringhieri). Tuttavia, chiedo al professor Corbellini, in un suo articolo del 2 marzo sul «Sole 24Ore», lei scrive che «la legge 180 era una legge quadro, che lasciava alle Regioni di organizzarne l’applicazione. Ma mentre alcune Regioni, soprattutto nel Nord del Paese, hanno applicato efficacemente i principi generali, altre li hanno disattesi, scaricando sulle famiglie un carico ulteriore di disagi». Dunque non è la legge 180 in sé da criticare, bensì — come fanno i suoi stessi sostenitori—la sua carente applicazione, che spesso abbandona il malato alla famiglia, la quale non solo non è adeguata a sostenerlo, ma talora è stata magari, anche solo parzialmente, all’origine dei suoi disagi.

Gilberto Corbellini — «Il libro scritto con Jervis non è tanto una critica alla legge 180, di cui nondimeno analizziamo dettagliatamente, riportando e interpretando tutti i dati epidemiologici disponibili, l’impatto sanitario. Il nostro scopo era di mostrare che i difetti di quella legge dipendevano dall’influenza culturale, a nostro parere nefasta, che l’ideologia antipsichiatrica aveva avuto durante il decennio precedente nel creare una diffusa percezione della malattia mentale come un problema non medico ma sociale e politico. Inoltre abbiamo voluto documentare che gli aspetti positivi della legge non dipendevano da coloro che ne rivendicavano e ne continuano a rivendicare politicamente la paternità. Alcune manifestazioni di pura intolleranza nei riguardi del nostro libro, cioè nessuna critica argomentata ma solo scomuniche e insulti da parte di qualche sopravvissuto della setta basagliana, confermano che le nostre tesi non sono campate in aria. Aggiungo che dal nostro libro il lavoro, la statura intellettuale e le qualità personali di Basaglia, storicamente contestualizzate, emergono anche in positivo».

Claudio Magris — Dal giardino della follia, come ha scritto così intensamente Rotelli, si legge il mondo, la sua verità e la sua distorsione, la vita nelle sue contraddizioni. Nella vostra biografia di Basaglia, chiedo a Michele Zanetti, non nascondete i momenti critici di quell’esperienza. Fra questi limiti, credo vi fosse, in alcuni dei suoi seguaci, la presunzione di essere gli unici depositari della verità psichiatrica, tendente a ridurre il dibattito a una schematica contrapposizione tra basagliani e antibasagliani escludendo altre stimolanti e creative posizioni. Ma Basaglia era l’opposto di tale dogmatismo da assemblea pulsionale, con la sua generosità calda e fantasiosa, la sua fanciullesca e amabile capacità di ridere anche di se stesso, la sua incredibile disponibilità ad aiutare chiunque. Non a caso, e va ricordato a suo onore, Basaglia è stato quasi malmenato dalle teste calde e vuote di Nuova autonomia, «radicali di sinistra» alcuni dei quali sarebbero coerentemente divenuti di lì a poco reazionari, che vedevano in lui il riformatore— e dunque un sostegno — del nostro mondo e non il suo distruttore. Anche la legge 180—hai detto—è frutto del suo tempo e dunque potrà e dovrà essere corretta e migliorata. In che senso?

Michele Zanetti—«Va pregiudizialmente affermato che non vanno cambiati i due fondamenti della legge: il riconoscimento dei diritti di cittadinanza alle persone gravate da disturbo psichico e il rifiuto del manicomio quale “cura” della malattia mentale. Nei confronti di persone sofferenti non vanno mai ammesse l’esclusione, la segregazione e la violenza, che ogni manicomio produce di per sé anche se non pratica l’elettrochoc o la lobotomia. Ciò che si è fatto a Trieste è in realtà molto semplice, anche se non è stato facile: si è dimostrato concretamente—inmaniera pragmatica e non ideologica —che con un uso non assolutizzante delle tecniche disponibili (farmacologiche, psicologiche), con interventi di sostegno sociale sul lavoro e sulla comunità di appartenenza dei soggetti deboli e a rischio, con servizi territoriali a costo sostenibile aperti 24 ore su 24, si possono prevenire e comunque ridurre le crisi e si può curare il malato. La legge 180 può e deve essere corretta perché ancora oggi ci sono varie zone, anche nelle regioni giudicate tra le più avanzate in materia sanitaria, dove non ci sono servizi accessibili di giorno e di notte, come se la crisi ovvero il disagio psichico dovesse rispettare un orario di apertura. C’è il pericolo che si vogliano aprire nuovi servizi segreganti, anche privati, che ridarebbero a qualcuno, come in passato, la possibilità di lucrare alle spalle delle famiglie, che nella condivisione della sofferenza dei loro cari meritano rispetto e sostegno, mai però a prezzo della libertà e della dignità del malato».

dal “Corriere della Sera”

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