Maurizio Porro Il Corriere della Sera
C’è sempre qualcuno che tenta di volare sul nido del cuculo. In questo caso è Saverio, giovane psicotico gentile e ipersensibile, iperprotetto dalla madre vedova, abbiente e poetico, innamorato a prima vista della bella Gina, un’impiegata alle poste con compagno e figlio a carico, molestata giorno e notte da lettere d’amore appassionate, rose rosse, telefonate. Riuscirà ad avere l’amicizia della donna, e anche l’attimo fuggente di un amplesso. Ma poi resterà di nuovo solo e impotente, “senza pelle”, perché manca del rapporto terminale di fronte al mondo. Internato in una comunità terapeutica, forse incontrerà una sua pari cui offrire un po’ d’affetto. Così è se vi pare. Ma la isoscele storia d’amore di Senza pelle può essere anche raccontata dagli altri due lati dello strano triangolo, perché il regista Alessandro D’Alatri riesce a rendere il racconto molto dialettico e insinuante.
Gian Luigi Rondi Il Tempo
Ad essere “senza pelle” secondo D’Alatri – arrivato qui alla sua opera seconda dopo l’esordio felice con Americano Rosso – sono gli psicotici perché la loro sensibilità e i loro nervi non hanno nessun confine a separarli dal resto del mondo. Così ne soffrono e, con quei loro comportamenti tanto “aperti”, possono far soffrire anche quelli in cui si imbattono, gente normale, difesa e protetta idealmente, invece, dalla propria pelle. Accade a Gina e Riccardo, una coppia con un bambino ancora in attesa però di sposarsi; sono gente semplice e modesta, lei impiegata alle poste, lui conducente d’autobus; nessun ideale, il quieto vivere e basta. Ma arriva Saverio, di famiglia agiata, psicotico, insofferente alle cure e ad una madre: si innamora di Gina, prima a distanza, con lettere e fiori, dopo, nonostante l’immediata e furente gelosia di Riccardo, avvicinandola prima timido poi un po’ più audace.