Commento al convegno giuristi

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Minerva ha sottolineato a suo tempo, in un appello rivolto all’ex Ministro della Sanità Sig.ra Livia Turco, un dato riportato dai giornali: “I delitti in famiglia superano in Italia i delitti della criminalità”. Le ragioni che molti sociologi hanno portato a giustificazione di questo fenomeno non sono del tutto convincenti, in quanto il tabù della morte inferta a persone della propria famiglia è talmente forte nella nostra società che si può spiegare il suo superamento soltanto se l’assassino ha una mente totalmente confusa:

  1. per una grave malattia mentale (che però di solito annuncia i suoi sintomi ben prima che il fatto delittuoso si compia);
  2. per l’assunzione di alcool e di droga (in particolare droghe eccitanti come ecstasy e cocaina sempre più diffuse fra i giovani);
  3. per l’assunzione in modo errato di farmaci psicoattivi, talvolta assunti senza il consiglio di un medico, ma in base ad informazioni avute da amici e parenti (autoterapia) o ordinati via internet per evitare l’imbarazzo di una ricetta medica .(non dobbiamo dimenticare che lo stigma che colpisce la malattia mentale è tuttora molto pesante).

È assodato in  psichiatria che un paziente con Depressione Bipolare (e cioè con la possibilità che il suo umore possa passare con facilità dalla depressione all’eccitazione) se assume farmaci antidepressivi a dosaggi sbagliati e per tempi inadeguati può incorrere in attacchi di ansia incontrollabili o in attacchi di aggressività nei confronti delle persone a lui vicine. Inoltre è altrettanto assodato che la sospensione non graduale ma improvvisa di farmaci neurolettici e in generale di farmaci antipsicotici provoca, per effetto rebound (rimbalzo) l’insorgenza di atteggiamenti violenti accompagnati da deliri e allucinazioni che il paziente può non aver mai presentato in precedenza.

Che cosa può fare la giurisprudenza di fronte ad un imputato che ha commesso un fatto delittuoso in uno stato di incoscienza e se ciò è avvenuto non perché egli non abbia voluto curarsi ma perché si è curato male o è stato curato male ?
È ovvio che in tali casi la giurisprudenza dovrà prendere in considerazione anche il problema della responsabilità dello psichiatra (cosi’ come avviene per tutti gli altri medici). Infatti, nel momento in cui questi prescrive farmaci psicoattivi, dovrà anche monitorare strettamente la terapia fino a quando il paziente non abbia raggiunto un buon equilibrio psichico: e dovrà informare il paziente e i suoi familiari, con molto scrupolo, sui possibili effetti collaterali della terapia stessa e sulle conseguenze di una brusca sua sospensione.
La ragione per cui in questi ultimi 30 anni la giurisprudenza non ha riconosciuto se non in un unico caso (caso Pozzi) la responsabilità di uno psichiatra è dovuta al fatto che l’unico strumento che un tempo gli psichiatri avevano a disposizione di fronte alla pericolosità di un malato mentale verso sé stesso o verso gli altri, era la reclusione. Questo strumento, grazie alla legge Basaglia, è stato giustamente eliminato con la chiusura dei manicomi: ma per molto tempo, dopo la sua promulgazione,, gli psichiatri si sono comportati come psicoterapeuti: hanno cioè usato solo la parola, avendo ben poche possibilità di interferire altrimenti sulla malattia mentale soprattutto se questa era grave. Da vent’anni tuttavia essi dispongono di numerosi farmaci psicoattivi che sono diventati assolutamente necessari. i nella cura delle patologie mentali, soprattutto quelle gravi, sono cioè una grande risorsa. Negli ultimi dieci anni questi farmaci se usati adeguatamente, hanno salvato e portato ad un ottimo equilibrio mentale molti pazienti soprattutto quelli affetti da Depressione Bipolare o malattia maniaco depressiva per la quale solo trent’anni fa non c’era alcun rimedio se non la reclusione. Ma tutti gli psichiatri sanno usare bene questi farmaci? Tutti sanno che tali farmaci possono modificare profondamente la personalità di un paziente e, se usati male, possono indurre nel paziente quelle gravi alterazioni di cui abbiamo detto sopra?
Un giudice, in questi anni in cui la terapia psicoattiva è più usata di quanto si creda , deve prendere in considerazione queste possibilità. Per cui, di fronte ad una aggressione o a un delitto, dovrà disporre che un eventuale   esame tossicologico non si limiti alla ricerca dell’alcool o della droga, ma anche di tutti i farmaci psicoattivi. Ciò soprattutto quando accada un fatto di sangue in una di quelle famiglie considerate “normali” cioè senza problemi economici o di convivenza o di emarginazione sociale.
La giurisprudenza si dovrà anche interessare (al di là di fatti delittuosi) delle numerose conseguenze che la malattia mentale comporta nel campo del lavoro: infatti spesso questi pazienti quando si trovano (non per loro colpa) in uno stato di eccitazione insultano o aggrediscono i propri superiori e i propri colleghi; da cui un degrado nei rapporti di lavoro (emarginazione, mobbing fino al licenziamento) che coinvolge non solo il paziente ma tutta la sua famiglia.
 Alcuni psichiatri, dopo la sentenza della cassazione che condannava in via definitiva il dott. Pozzi, hanno dichiarato che questa sentenza rischiava di sviluppare o favorire un psichiatria “difensiva”, cioè una psichiatria che sempre più avrebbe pensato a salvaguardare da conseguenze legali gli psichiatri tutti. Minerva considera assurde queste minacce e questa presa di posizione. Non si capisce infatti per quale motivo gli psichiatri dovrebbero essere esentati da quella responsabilità che grava invece su tutti gli altri medici. Se agiranno in modo corretto, conforme alle attuali conoscenze, se saranno stati vicini al malato e ai suoi familiari, non avranno sicuramente nulla da temere dagli organi giudiziari. Ma dovranno essere ben preparati e dovranno agire, come tutti i medici, in modo deontologicamente corretto. Il che, purtroppo, non sempre avviene.
minerva2 Commento al convegno giuristiMINERVA
Associazione di Promozione Sociale
per la lotta contro il Disturbo Bipolare
Presidente prof. Cesare Dal Palù
Vice- Presidente dott. Ennio Fortuna
Invita la S.V.
Giovedì 19 Marzo 2009
alle ore 15
Presso la Sala degli Anziani
 
Palazzo Moroni
     
 
alla Tavola Rotonda
           
 “Depressione Bipolare:
aspetti medici e giuridici frequentemente associati; responsabilità civili, penali e di lavoro
di pazienti, familiari e medici.”

Relatori:
Ennio Fortuna – ex Procuratore Generale della Repubblica di Venezia
Graziana Campanato – Consigliere di Cassazione
Alfredo Bianchini – Avvocato
Franco Garonna – Primario II Servizio di Psichiatria – Venezia
Moderatore:
Cesare Dal Palù – Professore Emerito della Facoltà  di Medicina e Chirurgia